Luciana Vitali
Assessore alla Cultura del Comune di San Donato Milanese
Nel momento in cui ero alla ricerca di modalità e di strumenti che mi permettessero di dare un contributo alla riscoperta di San Donato, della sua storia molto antica, anche se umile, di alcuni suoi aspetti caratteristici, della sua cultura, ho incontrato Giuliana Consilvio e della sua arte ho colto innanzi tutto il grande amore che esprime per la terra lombarda.
L’artista dimostra non solo di conoscerla in tutta la sua complessità, ma soprattutto di apprezzarla, con quell’atteggiamento che si ha nei confronti di ciò che ci è particolarmente caro e, nonostante gli evidenti difetti, ci induce a particolare tenerezza.
Giuliana Consilvio (artista milanese che opera da più di vent’anni in Italia ed all’estero) è stata invitata a San Donato, perché anche in questa città possa individuare i segni che la connotano: tracce del passato ed espressioni del presente.
La sua mostra di acqueforti, incisioni e dipinti sarà uno stimolo per i cittadini sandonatesi a scoprire certi aspetti meno noti della terra lombarda e ad apprezzare l’arte, mediata dalla prestigiosa abilità tecnica di questa artista e filtrata dalla sua sensibilità.
La Consilvio, come un menestrello canta la città e la terra di Lombardia. La grande città, piena di traffico, di tensioni, di gente che passa in fretta, che si accalca sui tram, nel metrò, per le strade; che va guardando solo davanti a sé, senza accorgersi di chi gli sta accanto, concentrata nei suoi pensieri.
Ma agli occhi di un ‘artista non sfuggono i piccoli luoghi, dove si può sostare, guardarsi attorno, ammirare i riflessi nell’acqua dei Navigli, un campanile che svetta nella nebbia, la sagoma di un’antica chiesa.
Ed è bello sull’imbrunire cogliere la luce rosata del sole e le ombre sfumanti dall’azzurro al viola, al nero. Il suo canto si fa più lirico quando descrive la campagna.
E’ una sinfonia di colori e di luci sia che voglia descrivere la terra dopo la pioggia, i filari dei gelsi lungo i canali che irrigano le risaie e i campi di mais, oppure l’azzurro del cielo in primavera.
Mentre si lascia coinvolgere dall’incanto di certe atmosfere, Consilvio non cessa di analizzare con distacco la superficie delle cose, alla ricerca dei “segni”, cioè di quegli elementi formali che caratterizzano ogni cosa nell’armonia dell’insieme.
Se l’uomo si pone in sintonia con la natura, questa recepisce i suoi sforzi ed i suoi messaggi e li integra in sé.
Così le ruote del trattore non feriscono il terreno, ma sembrano esprimere un giuoco di linee intrecciantesi, come in una danza.
Più drammatici, esasperati, sono “i segni” della città. Spazi sovraffollati in cui ciascuno si sente particolarmente solo. Impronte di vita che incidono l’asfalto. Corpi tesi in forme disarmoniche, esasperate. Bocche serrate nel proprio individualismo o urlanti la propria rabbia, occhi spaventati che guardano senza vedere.
Nel tessuto urbano si concentrano i mali dell’uomo d’oggi: indifferenza, alienazione, nevrosi, sebbene non manchino espressioni di tenerezza e di amore.
Rossana Bossaglia
Introduzione alla mostra “Impronte e segni di Lombardia”
Sperimentatrice straordinaria delle tecniche più diverse, in particolare quelle incisorie, Giuliana Consilvio le ha messe al servizio di una vena che ha punte drammatiche, ma che sa anche sciogliersi in delicato lirismo, pieno di vibrazioni sottili; e al servizio di una grande varietà di tematiche e modi espressivi, che dalla figurazione più direttamente esemplata sulla realtà passa a immagini allusive, sino a rasentare le soglie dell’astrazione. Ma, si badi: l’astrazione non è mai un esercizio intellettuale staccato dall’emozione diretta; nasconde sempre, e lo spiegheremo meglio tra poco, uno sguardo puntato sulle cose e sulla natura; anzi, in molti casi, è un modo stilisticamente pulito di cogliere e bloccare il transeunte.
Questo bagaglio di esperienze, che si sono arricchite a un certo punto di una pratica pittorica anch’essa padroneggiata con grande sapienza, da una decina d’anni è stato indirizzato a un’indagine del contesto cittadino e della campagna milanese, che ripropone in libera e originale maniera la tradizione vedutistica.
L’artista ha proceduto in un modo singolare, prima componendo immagini senza preciso referente esterno, dove una corposa e vitale pennellata a tratteggio dava luogo a libere variazioni cromatiche; queste variazioni sono divenute a poco a poco erba, foglie, rami fioriti, terre solcate; e ancora: nuvole, strisce di vento. Sicché, quando la pittura è giunta al paesaggio e alla veduta nel senso proprio del termine, è stato come se le figurazioni emergessero dal profondo di una sottile nebbia, che forse è il profondo della sensibilità dell’artista: disvelate.
La produzione, tutta recente, che Giuliana Consilvio presenta ora è sul tema, appunto, di scorci cittadini, soprattutto quelli della vecchia Milano, i navigli, e poi la pianura circostante con i suoi filari di alberi, rogge, marcite; ma il tema è interpretato in forme diverse a seconda delle tecniche usate, con una serie sapiente ed emozionante di variazioni. Intanto, ci sono acqueforti che si inseriscono, con una padronanza perfetta, nella grande tradizione incisoria del nostro secolo, specie quella lombarda.
Il segno minuto e vibratile rende, nella sobrietà del bianco e nero, una varietà di effetti luminosi, e di modifiche nella consistenza fisica delle immagini, davvero eccezionale; qui la nebbia – o il ricordo – si fa tramite delle emozioni senza che il segno perda la sua precisione puntigliosa. Nelle incisioni colorate, il tratto diventa appena più fuso e amalgamato; ma non perde l’animazione interna che ce lo fa apparire sempre come se fosse percorso da un vento segreto.
Nei dipinti, il colore sboccia impetuoso; tuttavia, ancora una volta, è frastagliato da un tratteggio vibrante, nato dalle sperimentazioni sopra ricordate e divenuto via via sempre più mimetico del naturale; se “Lombardia: colori dopo la pioggia” (immagine n. 4) è ancora una sintesi fantastica, o meglio uno svelarsi del paesaggio sotto la pennellata fremente, “Cielo di marzo” (immagine n. 16) collega l’emozione a una visione diretta, e “S. Cristoforo sul Naviglio” (immagine n. 3 ) è una veduta nel senso proprio del termine. Che se poi la veduta sottintende il sommarsi di impressioni in un arco di tempo, breve o lungo che sia, questo è il senso del quadro, è il compito specifico della pittura: restituirci in un’immagine una sequenza di immediate folgorazioni; il quadro è sempre un racconto e un ricordo.
Nelle scelte formali e iconografiche della Consilvio prevalgono, perciò, quale che sia la tecnica usata, effetti di sovrapposizioni, che appaiono come tracce di vedute precedenti; queste sovrapposizioni in vari casi sono veramente tali, o comunque intendono mantenere il carattere di impronte successive, sino ad assumere significati simbolici.
Così è nella serie di opere in cui il tema della traccia di ruote gommate sulla terra, o sull’asfalto, testimonia la presenza, e la violenza, del tecnologico sul naturale, o comunque il segno lasciato dal vivere attuale sull’antica struttura paesaggistica.
Si giunge allora a quanto si diceva in principio sull’approdo nell’astratto: usando diversi espedienti incisori, padroneggiati con abilità, in particolare il connubio xilo-calcografia, l’artista schematizza gli effetti delle impronte in primo piano su un fondo di vedute con casolari, sino ai limiti di un raffinato geometrismo; ma permane nell’immagine la tensione di una resa simbolica. Alla serie di opere pittoriche e grafiche si aggiunge, infine, in questa precisa campionatura della sua opera che la Consilvio ci offre, un oggetto che potremmo definire scultoreo, una sorta di tessuto prodotto con “l’intreccio di rami di nocciolo” (immagine n. 15): che è insieme un graticcio e un arazzo, un cancello rustico e un fondale di teatro; esplicita sublimazione della manualità, incontro del massimo del naturale con il massimo dell’artificio, l’umiltà della materia trasfigurata in un gioco di alta eleganza.