“La stampa originale”
– storia e definizione –
– storia e definizione –
Nell’epoca in cui viviamo e facendo riferimento al mercato delle stampe, o meglio della grafica in generale di artisti contemporanei, alcune distinzioni atte a valorizzare o meno l’operato degli autori sono note soltanto ad un piccolo mondo di “addetti ai lavori” mentre molti operatori culturali (critici, galleristi, mercanti, giornalisti, collezionisti) a volte ignorano le peculiarità che possono significativamente differenziare un’opera grafica modificandone sia il valore intrinseco (commerciale) che artistico.
Ritengo quindi utile, in questa sede, diffondere e far conoscere il concetto di “Stampa Originale” affinché anche i non addetti ai lavori e gli amatori d’Arte possano capirne il significato e valutare così le opere già in loro possesso oppure sapersi indirizzare per futuri acquisti o, meglio ancora, apprezzare i fogli esposti in gallerie e musei.
Coloro poi che desiderano approfondire l’argomento ed avvicinarsi così al mondo delle Stampe d’Arte consiglio la lettura di un ottimo testo:
“Manuale del conoscitore di stampe”
di Paolo Bellini
– Edizione A.Vallardi – 1998 – ISBN 88-8211-262-4“
dal quale peraltro sono anche stati tratti alcuni degli argomenti di seguito esposti. Gli appassionati che desiderano invece conoscere in dettaglio le tecniche di incisione calcografica possono consultare il volume:
“L’incisione e la stampa originale – Tecniche antiche e moderne”
di Lino Bianchi Barriviera – Neri Pozza Editore -Vicenza –
oppure consultate il documento
“Dichiarazione di Milano -Castello Sforzesco- sull’incisione originale (1994)”
testo in italiano ed in inglese
G. Consilvio “Le Gardian” puntasecca -1974 – Stampa originale –
Considerando le “Incisioni antiche” (dal ‘400 alla Rivoluzione francese) sia di “invenzione” sia di “riproduzione” una distinzione che viene comunemente accettata è quella che precisa ed individua la natura della stampa rispetto alla sua autenticità: cioè l’originale, la copia, il falso.
L’originale è l’opera autentica, cioè quella la cui lastra (matrice) è stata incisa di propria mano dall’artista che ne viene pertanto dichiarato l’autore.
La copia, invece, è quell’incisione il cui soggetto è stato desunto (copiato) in parte o in toto, da un’altra incisione. Se poi in questa copia sono state poste alcune scritte atte a far credere che l’incisore non sia stato il copista, bensì l’autore dell’opera servita da modello, allora la copia diventa un falso!
Per le stampe del XIX e XX secolo (Incisioni moderne) le distinzioni fatte in precedenza hanno poco peso poiché in tale periodo il fenomeno dell’incisione di riproduzione si è praticamente spento, almeno nel senso tradizionale del termine, e altrettanto si può dire del fenomeno delle copie.
Di contro nell’epoca moderna e contemporanea ha assunto ragguardevole importanza distinguere tra “stampe originali” e “non originali”.
Con questo attributo si fa riferimento al modo con cui sono stati ottenuti sulla lastra quei segni che poi, inchiostrati, daranno luogo alla stampa.
Sono riconosciute come “Originali” quelle stampe ove il lavoro sulla lastra (l’incisione o il disegno litografico) sia stato eseguito interamente dall’artista, mentre non rientrano in tale categoria le opere realizzate con altri procedimenti (ad esempio la fotoincisione, la fotolitografia, la computer grafica) senza l’intervento diretto dell’artista.
G. Consilvio “Metropolitana milanese n.7” 1974 – Acquaforte, acquatinta – Stampa originale –
A questa distinzione si è giunti per gradi: dapprima nel XIX secolo con la fondazione della “Société des Aquafortistes”, da parte dello stampatore francese A.Cadart, poi con il gruppo l’ “Acquaforte” sorto a Torino nella seconda metà del secolo.
In questi sodalizi di acquafortisti il termine “originale” venne utilizzato per connotare sia le incisioni squisitamente d’invenzione, sia quelle che un artista eseguiva riproducendo i propri dipinti.
Nel secolo XX il problema è stato posto in termini diversi. Si è pervenuto ad un concetto di “originalità” differente da quello del secolo precedente dovuto alla necessità di salvaguardare le stampe eseguite con criteri tradizionali, distinguendole da quelle che venivano realizzate con l’apporto di strumenti fotomeccanici.
Significativo fu il fatto, avvenuto a Parigi, capitale mondiale dell’arte, dove alcuni artisti di gran nome (p.e. Braque) avevano permesso la pubblicazione fotomeccanica (in bianco e nero o a colori) di loro dipinti o incisioni, con tirature di fogli che venivano poi numerati e da loro stessi firmati.
Ciò mise in allarme i mercanti di stampe che intravidero subito il pericolo di una diminuzione del livello qualitativo delle stampe “originali”.
Ed ecco quindi la necessità di definire un concetto di originalità.
La sua prima formulazione è stata proclamata nel 1937 dal Comité National del la Gravure, all’Esposizione Internazionale di Parigi.
Il testo di quella risoluzione, servito successivamente da base per altre dichiarazioni, stabiliva che, da quel momento, “dovevano essere considerate come incisioni, stampe, litografie originali, i fogli stampati in bianco e nero o a colori, da una o più matrici, interamente concepite ed eseguite a mano dallo stesso artista qualunque fosse la tecnica impiegata, con l’esclusione di qualsiasi procedimento meccanico o fotomeccanico”.
G. Consilvio “Grafismi agricoli” 1996 – puntasecca – Stampa originale –
Con contenuti sostanzialmente identici si sono avute in seguito tre altre dichiarazioni ufficiali: nel 1960 a Vienna, nel 1961 a New York ed infine nel 1964, quando il Comité National del la Gravure ha adottato come sua la Dichiarazione del 1937.
Non sono tuttavia mancate successivamente (inizi anni Novanta) tentativi di modificare sostanzialmente il concetto di originalità rispetto a quello in precedenza fissato cercando di far ammettere tra le stampe originali anche quelle eseguite con procedimenti fotomeccanici (fotoincisione e fotolitografia).
La proposta però non ebbe alcun seguito ed anzi è stata nettamente respinta da una nuova Dichiarazione, promulgata al Castello Sforzesco di Milano nel 1994, che non solo ribadiva le affermazioni della Dichiarazioni parigina del 1937, ma aggiungeva anche che “l’immagine incisa sulla matrice deve seguire la sintassi linguistica propria dell’incisione, e cioè un appropriato e intenzionale uso delle tecniche specifiche”; ed ancora “Qualunque stampa che riproduca un modello, ottenuta con mezzi fotomeccanici, o con altri mezzi non manuali, di qualsivoglia tipo, non può essere chiamata “originale” (e neppure “originaria” o “litografia autentica”)”.
Per concludere l’argomento il Prof. Paolo Bellini, nel suo testo sopra citato, fa osservare che “il desiderio di distinguere le opere interamente concepite a mano dagli artisti da quelle eseguite con mezzi fotomeccanici è un’esigenza avvertita soprattutto nei Paesi europei, ove vige una concezione dell’arte basata su una tradizione che assegna determinati valori “all’invenzione” dell’opera e alla sua “esecuzione”.
In altre situazioni culturali il discorso è stato impiantato su basi differenti: così ad esempio è avvenuto nella produzione di stampe giapponesi dal XVII al XIX secolo, così avviene oggi negli Stati Uniti o nel moderno Giappone, ove le norme sull’originalità sono considerate con parametri talvolta differenti da quelli Europei.”