Presentazione di Silvio Riolfo Marengo
Frutto di una selezione rigorosa tra centinaia di opere eseguite nel corso degli anni 70, le incisioni che Giuliana Consilvio presenta oggi alla Galleria il Bulino sono leggibili singolarmente, quali opere in sé concluse nei contenuti e nelle corrispondenti soluzioni formali, ma acquistano un significato ancora più convincente se proviamo a considerarle come tessere di un vasto mosaico che, nel suo fitto gioco di rimandi costruito per affinità e differenze, configura una parte “pubblica” a fronte, potremmo dire, di una parte “privata”, così come in una pellicola fotografica positivo e negativo costituiscono due facce della stessa medaglia. Da un lato il corpus delle opere esposte (una quarantina tra acqueforti, punte secche e cere molli) è più che sufficiente a rappresentare il percorso poetico interiore di Giuliana Consilvio dal 1969 al 1979; dall’altro lascia trasparire in filigrana le ansie, i problemi, le speranze e le inquietudini collettive di un decennio denso di fatti e situazioni che hanno trasformato profondamente la vita sociale del nostro Paese. Fra i temi che l’artista ha eletto a emblema di quegli anni potremmo indicare la solitudine esistenziale, l’emarginazione, la nevrosi, il sofferto cammino dell’emancipazione femminile. Specificazioni esemplari tutte riassumibili nella sola, grande metafora del difficile rapporto uomo-città e riferibili, dantescamente, alla stessa bolgia ribollente ed oscura. Negli anni ’70 la grande città comincia a perdere il suo fascino di sirena incantatrice per assumere il volto alienante di labirinto senza uscita, di trappola disumanizzante.
Inizio e fine di un mito che sono perfettamente individuabili nell’immaginario di Giuliana Consilvio.

L’incipit si può far risalire agli Emigranti, un’acquaforte del 1973, in cui la metropoli non compare direttamente in quanto tale, ma si indovina sullo sfondo, con tutta la sua vis attrattiva. Sulla sinistra del foglio nove figure si ammassano l’una sull’altra: anziani, donne e bambini come immagini della grande famiglia patriarcale; a destra un chiarore d’alba annuncia l’approdo sognato, la speranza di un domani migliore, in un morbido contrappunto di vuoti e di pieni, stilisticamente affidato a uno scarno tratteggio essenziale.
Il termine finale del processo di urbanizzazione svela però una realtà ben diversa, più amara e drammatica. Tutto si capovolge: al bianco subentra il nero, allo spazio libero la reclusione, all’apertura il buio chiuso e opprimente. Sono i cunicoli sotterranei nei quali ci proietta la serie – più volte reiterata tra il 1972 e il 1974 nelle diverse tecniche dell’acquaforte, dell’acquatinta e della punta secca – delle “metropolitane milanesi”. Anche in questo caso la folla è protagonista e l’orror vacui aumenta la sensazione d’angoscia. I passeggeri si stipano l’uno contro l’altro. Tre, quattro, otto persone ridotte a mani, a volti ingranditi e deformati, maschere senza parole e senza sogni.
Vengono in mente gli “automi murati” di un famoso mottetto montaliano che descrive per rapidi cenni (Addii, fischi nel buio, tosse) la partenza di un treno in galleria.
Ma in un normale percorso ferroviario, i finestrini in corsa lasciano intravedere la luce, gli alberi, i tratti variopinti del paesaggio. Il tragitto della metropolitana, invece, si svolge sempre al buio.
I finestrini riflettono solo mura, mattoni, oscurità. La poetica del nulla non potrebbe trovare una incarnazione più radicale.
Il non essere caratterizza anche Corsia comune, un’opera del 1974 con manichini aggrediti dal male, imbalsamati in camici uguali, lo sguardo spento, gli occhi ridotti a fessure. Non vedono e non sentono anche gli Agnostici (1975), così come nessuno ascolta l’Oratore (1973), rappresentazione ironica di tante conferenze piene di vuote parole e inutilmente subite.
Certo non tutto è così pesantemente negativo nell’opera di Giuliana Consilvio. Vi compaiono anche rappresentazioni più lievi, amicali (Chiacchiere, 1972; Momenti di vita numero 1, 1973) o felicemente evocative di liberi vagabondaggi (Camargue: le Gardian, 1974). In ogni caso non manca mai la possibilità di una lettura polivalente, bene evidenziata, ad esempio, nell’altra grande serie delle “donne in sottoveste”, dove, quasi a sottolineare la maggiore interiorità della rappresentazione, la folla si dirada e le figure campeggiano – due o tre al massimo – nella loro interezza di persona.
Ma in sottoveste, appunto, vale a dire nel massimo della loro intimità, anche se si tratta pur sempre di una intimità ambigua e spesso equivoca (la donna-oggetto che diventa, al contrario, il ritratto della verità femminile interiorizzata. Ci muoviamo dunque tra dolcezza e protesta, grido e comprensione, secondo una legge dialettica che, a ben vedere, governa tutta la produzione della Consilvio. Leggere la sua opera semplicemente in base ai contenuti sarebbe comunque fuorviante, così come non potremmo comprendere appieno il suo mondo limitandoci, come pure è stato fatto, a collocare Giuliana Consilvio nell’area della “Nuova figurazione” milanese o nella più vasta tendenza del realismo espressionista. Una tendenza naturale, del resto, in ogni espressione d’arte che nasca da un moto di protesta, di denuncia o, comunque, di indignazione morale, portandosi appresso il suo inevitabile corollario di tensione deformativa, di contaminazioni antropomorfe e di raptus emozionali: tutti quei tratti, in altri termini, che indicano assai bene le affinità spirituali che legano queste incisioni a quelle di un Bacon, di un Plattner, di una Kate Kollwitz, alla quale del resto qualche anno dopo la stessa Consilvio non dimenticherà di rendere esplicito omaggio. Ma sottolineare siffatte parentele non è ancora sufficiente. Per giungere a una valutazione completa di queste opere occorre risalire al vero motore che le governa: al gusto fisico, quasi sensuale, per il segno, capace di soddisfare – meglio di ogni altra tecnica – l’esigenza di scavo interiore nella condizione umana, quanto la felicità di agire, il non condizionato appagamento estetico. Il bellissimo bozzetto per gli Emigranti è una cera molle che la Consilvio ha ottenuto imprimendo anche con le dita sulla vernice, e molte altre opere nascono dai segni incisi sulla lastra utilizzata come taccuino di appunti.
Il segno calcografico, con i suoi incredibili chiaroscuri, le sue variazioni tonali – che nessun’altra tecnica consente di ottenere – è la cellula genetica e funzionale delle opere esposte in questa retrospettiva e, a ben guardare, mantiene la sua caratteristica di grammatica essenziale anche nelle opere più recenti della Consilvio. Non deve, a questo proposito, trarre in inganno il passaggio dal realismo all’astrazione o il cambiamento d’oggetto (l’ambiente, le cascine, i campi sostituiti alle persone) né il mutamento di tono (all’ardore polemico subentra il pacato, lirico disincanto).
Ciò che permane è la potenza del linguaggio segnico. L’impronta calcinata sull’asfalto o impressa sulla ceramica ripete il tratto del bulino, così come è ancora la città – ritratta non più al suo centro ma nei margini periferici – ad essere rimasta l’oggetto vivo della rappresentazione.
C’è, a questo proposito, una dichiarazione di poetica rilasciata dall’artista nel 1974, che vorrei riproporre, come interpretazione autentica, a chiusura del discorso, perché mi sembra il modo più idoneo per rendere conto, in presa diretta, della passione che governa il suo agire artistico (e nella quale, a conferma di quanto abbiamo annunciato, la parola segno compare più volte): “Tracciare segni, macchie di colore, forme: questo è il mio lavoro. Dipingere non è solo un “mestiere”, è soprattutto sentire, parlare, urlare o tentare di farlo. E’ il mio avvicinarsi alla vita per afferrare la realtà o i singoli, attraverso forme e colori, per necessità di comunicare, per esigenza di amare: un modo, come tanti, per manifestare la volontà di vivere o anche tentare di giustificare questa esistenza attraverso la scoperta di se stessi e degli altri.
Ecco affiorare allora l’Uomo come protagonista dei miei lavori in tutti i suoi aspetti contraddittori: l’amore, l’egoismo, l’odio, l’indifferenza, la socialità, l’individualismo e infine l’isolamento, tanto più evidente quanto più compresso tra gli altri, come in una metropolitana che corre sotto terra senza offrire neppure l’illusione di una vista. Continuo questa ricerca nel mio studio al di fuori di me sulla tela. Il segno inizia allora a muoversi vertiginosamente alla ricerca della forma: affiorano immagini ignote ma da sempre esistite, prorompono con violenza al punto che faccio fatica a comporle e a disciplinarle in materia pittorica. Al placarsi del fatto emotivo si sostituisce il lavoro dell’impasto cromatico, la selezione delle tinte, la scelta del segno, l’equilibrio delle forme e, infine, soltanto il piacere di dipingere”.
Silvio Riolfo Marengo
Le opere in mostra – a cura di “A il bulino Antiche Stampe”
Avvertenza – I dati relativi alle 36 incisioni esposte in Galleria, confrontati con quelli dell’archivio dell’artista e della monografia curata da F. Solmi, comprendono: tecnica, misure della battuta della lastra, date in millimetri, ove l’altezza precede sempre la base, tipo di carta e misura del foglio, tiratura. Quando non viene espresso diversamente, l’opera si intende eseguita in unico stato. Di ciascuna incisione si conoscono alcune prove d’autore, che, se non numerate, non vengono menzionate in questa schedatura.
In questa sezione vengono presentate solo 16 immagini delle 36 incisioni esposte.
L’elenco completo delle opere esposte è presente alla fine di questa sequenza di immagini. Segue infine una sezione dedicata ai testi critici sull’opera di Giuliana Consilvio.
Elenco delle opere esposte in Galleria
anno 1972 1. LE TRE ETA’ Acquaforte su zinco, mm 362×268 Carta: Rosaspina, mm 700×500 Tiratura: 10 esemplari in numeri arabi 2. I VOLTI 3. SITUAZIONE FAMILIARE 4. METROPOLITANA NUMERO 1 5. EMIGRANTI 6. CHIACCHIERE anno 1973 8. RITORNO ALLA POSIZIONE DI ORIGINE 9. L’ ORATORE 10. MOMENTI DI VITA NUMERO 1 11. METROPOLITANA MILANESE N. 3 12. METROPOLITANA MILANESE N. 4 13. DONNE IN TRAM anno 1974 14.. CICLO DI VITA 15. SIMMETRIA | anno 1974 (continuazione) 16. LA SIGNORINA LUISA 17. CHIAROSCURO 18. RECUPERO D’AMORE (dalla cartella “Amore ’75”) 19. NEVROSI 20. MILLENOVECENTOSETTANTAQUATTRO 21. DONNA IN SOTTOVESTE NUMERO 2 22. DONNE IN SOTTOVESTE 23. INTERNO DI UN SALOTTO (II stato) 24.CAMARGE: LE GARDIAN 25. EVIDENZA DI PARTICOLARI 26. DOPO LA DROGA-PARADISI ARTIFICIALI 27. CRONACA CITTADINA NUMERO 1 28. CORSIA COMUNE 29.. LA CONCLUSIONE 30. AVANZI RIPETUTI 31. ASPIRAZIONE D’AMORE 32. ADAGIO PER LINEE E FORME anno 1975 34. GLI AGNOSTICI 35. OSMOSI anno 1977 |